LA PIETRA SCRITTA

LA PIETRA SCRITTA – MONUMENTO FUNEBRE DI EPOCA ROMANA (I° Sec. A.C.)
Percorrendo la strada provinciale Turanense, nella direzione da Carsoli verso la Salaria e Rieti, a pochi chilometri dalla diramazione per l’abitato di Paganico, si scorge sulla sinistra un poderoso monolite, di struttura singolare o meglio, adottando un’efficace descrizione ottocentesca, una «pietra lavorata a forma di una sedia antica». Si tratta di un sepolcro di epoca romana, realizzato intorno alla seconda metà del I sec. a.C., recuperando un masso calcareo erratico, probabilmente precipitato dal sovrastante monte Cervia. L’iscrizione presente lo ascrive alla famiglia dei Muttini sebbene, tradizionalmente, sia meglio noto nella suggestiva dizione locale di “Pietra Scritta”. Il monumento, una delle testimonianze antiche più significative della valle del Turano, appare oggi quasi spogliato di ogni appendice decorativa ma conserva sostanzialmente integra l’epigrafe sul fronte rivolto al fiume:
P(ublius) MUTTINUS P(ubli) F(ilius) PATER 

CLODIA MATER
P(ublius) MUTTINUS P(ubli) F(ilius) SER(gia tribus) SABIN(us) F(ilius)
Della storia dei Muttini nulla è conosciuto oltre le scarne notizie di questo testo, è però particolarmente interessante ripercorrere nella loro successione le qualifiche che accompagnano il padre, la madre e il figlio. Dei tre solo l’ultimo gode della cittadinanza romana con pieni diritti, è infatti l’unico ad essere dotato di un cognomen, Sabin[us], e ad essere iscritto ad una tribù, la Sergia. Prerogative che non possiedono invece i genitori, privi di cognomina e identificati solo dai termini di parentela. Inoltre, se il padre è un ingenuus, e cioè un nato libero, lo prova il patronimico, non altrettanto si può dire con certezza della madre la cui condizione è invece taciuta da una onomastica ridotta al solo gentilizio. Nel giro di una generazione ritroviamo dunque un avanzamento dello status familiare con il definitivo accesso alla cittadinanza ottimo iure, un passaggio che, in relazione alla datazione dello stile epigrafico, deve essere avvenuto non molto dopo la guerra civile del 90 a.C., il Bellum sociale. Questo dato, anche se certamente non possediamo ancora le necessarie conferme, potrebbe costituire una valida base di partenza per una migliore definizione cronologica del processo di romanizzazione nella valle del Turano. Si tratterebbe di estendere l’analisi dal singolo reperto ad un più esteso orizzonte, e nella stessa direzione volendo ulteriormente generalizzare, la Pietra scritta può essere anche letta come il primo monumentale “segno” lasciato dall’uomo su questo territorio. Non si tratta qui evidentemente di generiche tracce archeologiche comprovanti la presenza umana, ma di un manufatto consapevolmente edificato per tramandare il ricordo di un vissuto, un preciso e inequivocabile: “noi siamo stati qui”. Un “testo” che trasforma lo spazio indeterminato della natura in un “luogo”, una realtà abitata dalla presenza dell’uomo. Così, anche quando sarà perduto il ricordo dell’originaria funzione sepolcrale, il monumento non potrà più ritornare ad essere “pietra”, e cioè non sarà più solamente massiccio “segno materiale” emergente sul territorio, ma diverrà “pietra scritta”, ossia “segno qualificante” di un paesaggio culturale: ora meta visiva per l’orientamento e indice confinario della proprietà rurale, ora arcano catalizzatore del- l’immaginario mitico e misterico del mondo contadino e pastorale. Partendo dal presupposto che la pietra è stata scolpita in loco, essa era primariamente un masso informe, probabilmente staccatosi dalle alture del monte Cervia. Caratteristica peculiare di questa pietra è la sua uniformità, in quanto la parete rivolta verso Nord-Est, non presenta quelle rifiniture che sono tratti distintivi delle altre tre facciate. La presenza dell’epigrafe nella facciata Sud-Ovest (facciata che guarda il fiume Turano), lascia supporre che il monumento avesse un punto di accesso nella parte verso il fiume. A valle del monumento si è effettivamente individuata la presenza di sostruzioni a secco, c.d. macere, pertinenti l’antichissimo tracciato della mulattiera che collegava Paganico con l’area c.d. di “opianu”. Tale tracciato ovviamente si riallacciava alla viabilità principale che, in epoca romana, conduceva a Carseolis (l’attuale Civita di Carsoli) ed a Trebula Mutuesca (l’attuale Monteleone Sabino). Il basamento calcareo del “monumento” è a base quadrangolare in un unico blocco, delle dimensioni di mt 3,45 x 4,03 x 3,80, sulla cui sommità, in continuità con tale basamento, è presente un’ulteriore base quadrangolare, delle dimensioni di mt 0,70 x 3,80 x 2,00 . Su que- st’ultima base, l’intero blocco calcareo presenta una terminazione con una sagomatura verticale che conserva an- cora due spigoli verticali. Quest’ultimo corpo, rispetto al basamento sottostante, ha una posizione asimmetrica e si colloca nello spigolo Est del monumento. Sulla struttura quadrangolare posta al di sopra del basamento s’intravede, nel mezzo, una cavità ad imbuto irregolare avente il diametro di 0,50 m. ed una profondità di 80 cm. Inoltre, sempre sulla sommità, ed in particolare modo lungo il ciglio della base quadrangolare, sono presenti delle smussature di forma rozzamente semi-tronco-conica. Nel suo complesso il rudere oggi visibile rimanda alla classica struttura architettonica a “tempietto con podio”, tipica dell’epoca a cui è stata fatta risalire la “Pietra Scritta” (I sec a.C.). Il basamento monolitico che si è conservato fino ai nostri giorni, con molta probabilità era sormontato da una cornice modanata e da colonne atte a sorreggere una trabeazione ed una probabile copertura a cuspide secondo i modelli in uso dal I sec. a.C. al I sec. d.C. Ai fini di una ricostruzione ideale della originaria architettura del sepolcro dei Muttini, può tornare utile il modello ad edicola, di derivazione ellenestica (largamente utilizzato nelmondo romano quale  massima espressione celebrativa per i defunti sulla base del modello del celebre Mausoleo di Alicarnasso) costituito dal cenotafio di Obulacco o quello di Rufus, ambedue scoperti e ricostruiti a Sarsina, in provincia di Forlì-Cesena.

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