PAGANICO SABINO E LA SUA STORIA

PAGANICO: LE ORIGINI E L’EPOCA ROMANA
Sin dai tempi più antichi la Valle del Turano si è caratterizzata quale area di confine tra le civiltà che da una parte gravavano verso le aree del fiume Tevere e quelle che invece si erano stanziate nei territori tra l’odierno Abruzzo e Lazio. Risulta difficile oggi dare un quadro specifico sulle popolazioni che nei tempi preistorici dovevano abitare tali luoghi in quanto pochissimi sono i rinvenimenti archeologici e sporadiche le ricerche archeologiche sul campo. Molti sono comunque le grotte o antichi ripari sui quali sarebbe opportuno investigare.
La moltitudine delle ondate migratorie, che dall’epoca arcaica sino agli albori dell’epoca romana, si è stratificata su questi territori, ha determinato la presenza di quei gruppi di popolazioni di origine indoeuropea che oggi conosciamo con il nome di Latini (compresi i Falisci), Sabini, Equi, Marsi ecc. Caratteristica comune di questi popoli era il loro carattere nomade che ritroviamo nell’antichissima pratica della “transumanza”. Da questo quadro, per sommi capi risulta possibile stabilire che l’antico fiume Turano (Tolenus) con molta probabilità sia stato un naturale confine tra il mondo dei Sabini e quello degli Equi. L’appartenenza ai Sabini risulta per altro consolidata nel periodo romano, sia in epoca repubblicana che in quella imperiale, dove il centro di Trebula Mutuesca (l’attuale Monteleone Sabino) era il centro di grande prestigio ed attrazione per queste zone. Le genti che, in epoca preromana, abitavano negli antichissimi villaggi sparsi, in forma di nebulose, sulle alture ed a ridosso delle sorgenti, con la pax romana vengono ad insediarsi nelle zone di valle. Numerosi sono i ritrovamenti di questo periodo su tutto il territorio della odierna Valle del Turano. Sul territorio di Paganico, in particolare, probabili insediamenti (da intendersi quali nuclei sparsi in forma di nebulose, il più delle volte facenti capo a ville rustiche organizzate per scopi agricoli) erano con molta probabilità ubicati nella zona di “San Giovanni” (l’attuale zona cimiteriale, a ridosso della foce del fosso dell’Ovito, con qualche presenza nell’attuale centro abitato a controllo dell’antico passo dell’Ovito, quale antico tracciato di transumanza), dove nelle successive epoche, tardoantica e altomedioevale, si consoliderà il probabile originario “pagus” che poi, a sua volta, darà origine al nucleo di Paganico sul sito dove oggi lo vediamo. Altra area di fondovalle, d’insediamento sparso di epoca romana è quella che dalla zona de l’“opianu” si estende fin sotto l’odierno territorio di Turania e Pietraforte di Pozzaglia dove vi sono i resti di antichi acquedotti e ville rustiche. Rimangono a continuità di vita nel periodo romano gli ancora più antichi santuari di altura come quelli a tutt’oggi conosciuti di S. Giovanni, sul Monte omonimo, nell’odierno territorio di Collalto Sabino (dove sono presenti le tracce di un antichissimo podio in opera poligonale) e quello sul Monte Cervia da poco scoperto. Sempre all’interno del periodo romano, sul territorio di Paganico assume particolare importanza la presenza di un monumento funebre dedicato alla famiglia dei Muttini. Si tratta di una particolare costruzione risalente al I° sec a.C., di cui oggi si conserva soltanto il basamento che all’epoca era stato scolpito da un unico blocco calcareo che già si trovava in situ. Tale basamento era con molta probabilità sormontato da una struttura ad edicola con colonne e relativa copertura. L’iscrizione presente sul lato di valle del podio era sicuramente posizionata in quel verso in quanto doveva essere visibile dalla antichissima mulattiera che passava li davanti, a pochi metri di distanza, e che tutt’oggi è ancora esistente. Il rimando di tale iscrizione alla tribù Sergia, dei Sabini, non fa che confermare l’appartenenza di questo territorio a quello della antica Sabina.

PAGANICO E LA SUA ATTESTAZIONE NEL MEDIOEVO
La più antica, e comprovata, attestazione di Paganico come sito abitato e chiaramente circoscritto, risale all’anno 852. La citazione si legge in un atto, redatto in Rieti dal notaio Ratichisius, con il quale Luponem, figlio di Herfualdus e abitante «in Massa Torana, villae quae vocatur Paganica», vende alcuni beni ad Hildericus, «abbati ex monasterio Sanctae Dei genitricis semperque virginis Mariae». Tra i luoghi «in Massa Torana» presenti nei documenti Paganico è ricordato in più occasioni: come «villae quae vocatur Paganica» nel già citato testo del 852; come «casale de Paganeco» nel 872; e infine compare ripetuto due volte in una carta del 876. dove: «Hildeprandum et Godiprandum […] habitatores de Massa Torana, villa quae vocatur Paganecum», vendono all’abbazia «vineam nostram quam habitus in praedicto casale Paganeco in quo qui vocatur Aecclesiae». Il sito indicato nelle carte non corrisponde certamente all’attuale ubicazione del paese ma è verosimilmente riferito all’area poco più a valle, intorno alla chiesa di San Giovanni Battista, oggi adibita a cappella cimiteriale. In questo senso non si può escludere che l’attuale edificio non sia altro che una successiva rifondazione-ristrutturazione dell’Aecclesia indicata nel 876. L’ipotesi troverebbe conferma nella presenza di alcuni frammenti decorativi in pietra arenaria inseriti nella facciata, pertinenti ad un antico pluteo databile tra l’VIII ed il IX secolo, e probabilmente rinvenuti all’interno della chiesa stessa durante i lavori di restauro documentati nel terzo decennio del XIX secolo. I termini villa o casale che in questi testi affiancano il nome di Paganico non vanno intesi come indicativi di una particolare tipologia architettonica, ma nel lessico specifico dell’epoca definiscono le fondamentali unità organizzative dell’insediamento rurale. La parola casalia rinvia ad uno spazio agricolo da poco messo a coltura ai margini di terreni già lavorati ai quali può aggregarsi, oppure rimanere indipendente fino a costituire un’azienda del tutto autonoma.
Alla fine del IX secolo a seguito delle incursioni saracene l’Abbazia di Farfa si trovò costretta ad alienare gran parte delle sue proprietà fondiarie a vantaggio dell’aristocrazia locale: nel 950 «Bernerius et Richardus et Gual- fredus et Lupo diaconus germani fratres filii Takeprandi de civitate Reatina» acquisiscono fino alla terza generazione «res iuris Sanctae marie … ubi dicitur Cornetum, in integrum, cum ecclesia Sanctae Marine et omni pertinentia ipsius curtis infra cuncto gastaldato Turano et Ofigiano et Puzalia et Paganeco et Baccareto». Paganico, assieme al territorio sulle due sponde del Turano, compreso tra le pendici settentrionali dei monti Faito e Cervia e Colle di Tora/Castel di Tora, era controllato da i filii Guidonis, intorno al monte Faito sono invece attestati i beni dei filii Totonis e dei filii Iosephi. Più a sud dominano i Conti dei Marsi, potente famiglia feudale che nei decenni successivi sembra prendere il sopravvento su tutta la media valle del Turano.
Riguardo Paganico non possediamo una testimonianza diretta del suo incastellamento che comunque, in relazione a quanto avviene per i centri più vicini, dovrebbe forse attestarsi già nella prima metà del XI secolo. A promuovere un precoce impianto castrale può aver contribuito la favorevole posizione strategica del sito, un costone roccioso posto a naturale presidio dell’accesso ai percorsi montani lungo il torrente Ovito. Il primo nucleo del castrum dovrebbe grosso modo corrispondere alla porzione settentrionale dell’attuale abitato: un’area di forma pressoché triangolare, protetta naturalmente ad est dalla costa rocciosa mentre ad ovest e a sud la difesa era garantita, in sostituzione delle mura, dai fronti continui dell’aggregato edilizio. A meridione, accanto alla chiesa di San Nicola, si apriva la porta principale, corrispondente all’attuale sottopasso, mentre altre uscite minori si aprivano in diversi punti lungo il perimetro fortificato. Al culmine dell’abitato, una piattaforma rocciosa poteva costituire la base naturale della rocca, di cui comunque oggi, tranne che nel nome del luogo, non resta traccia. In attesa di ulteriori ricerche archeologiche si può supporre l’esistenza di una qualche struttura più o meno temporanea, probabilmente edificata in legno. La prossimità tra l’antico insediamento, nell’area dell’odierno cimitero, e il nuovo sito poco a monte sembra aver garantito il mantenimento di stretti rapporti tra i due ambiti. Lo dimostrano la persistenza del toponimo e soprattutto il prolungato affidamento della cura spirituale al titolo di San Giovanni Battista, chiesa divenuta ormai rurale ma ricordata ancora nel 1561 come quella «qui olim erat matrix». Si potrebbe anche avanzare l’ipotesi che per un certo periodo parte della popo- lazione abbia continuato ad occupare un residuale abitato “aperto” intorno all’antico edificio sacro. E del resto proprio in prossimità di Paganico è accertata la continuità di questo modello insediativo nella villa de Cervia, sui fianchi meridionali del monte omonimo.

PAGANICO COME CROCEVIA ALL’INTERNO DELLA BARONIA DI COLLALTO
Successivamente al periodo dell’incastellamento, dopo che Federico II° aveva favorito sul territorio della valle del turano l’insediamento dei poteri feudali demandati a famiglie nobiliari a lui favorevoli, Paganico si trovò a seguire le sorti della Baronia di Collalto, le cui testimonianze circa la sua origine, risultano essere sfuggenti ed episodiche. Nell’assetto territoriale così definito Paganico venne ad occupare una posizione chiave, porta d’accesso settentrionale al territorio della baronia di Collalto e passaggio quasi obbligato per raggiungere gli altipiani dell’interfluvio Salto/Turano. Due direttrici, ad est lungo il torrente Ovito e a sud lungo il Turano, che significativamente coincisero in epoca moderna con i maggiori investimenti agricoli e produttivi sostenuti dalla comunità. L’importanza strategica ed economica della confluenza dell’Ovito con il Turano è d’altra parte confermata dai diversi castra che furono qui edificati nel corso del tempo: Mirandella, Bulgaretta, Ascrea e naturalmente lo stesso Paganico. Una qualche forma di coesione funzionale è testimoniata fino al XIV secolo dalla geografia religiosa: la chiesa di San Giovanni Battista, all’epoca ancora parrocchiale di Paganico, è riconosciuta come “chiesa madre” a cui fanno riferimento le chiese castrali di San Nicola d’Ascrea e San Pietro di Bulgaretta. Anche il più marginale centro d’altura di Mirandella, sebbene naturalmente proiettato verso le terre degli altopiani, deve aver intrattenuto strette connessioni con il fondo valle. Appare del resto significativo che proprio in seguito al suo abbandono venne fondata la stessa Ascrea, come non si può affatto escludere il trasferimento di parte di questa popolazione a Paganico. Lo stesso discorso vale per Bulgaretta, anche’essa progressivamente spopolata tra XV e XVI secolo. Con l’affermazione del potere feudale dei Collalto e dei Mareri questa antica organizzazione unitaria venne definitivamente disarticolata alterando così, nel profondo, anche l’identità insediativa ed economica del territorio. Per Paganico la nuova situazione determinò un completo ribaltamento di prospettiva: se da un lato furono avviati inediti legami con le terre meridionali di Collalto e Pietraforte sull’altro versante invece si venne edificando una marcata linea di “frontiera” con Ascrea, un confine in qualche modo non più valicabile e che sopravvive invisibile ancora ai nostri giorni. Sul piano istituzionale nel giro di pochi decenni, tra ‘500 e ‘600, il controllo di Paganico e della baronia di Collalto passò più volte di mano.

PAGANICO E LA SUA ESPANSIONE NEL PERIODO SETTECENTESCO
A partire dai primi anni del ‘700 Paganico conobbe una fase di grande prosperità ed espansione. Ciò comportò un incremento delle aree abitative dall’antico nucleo castrale verso sud, fino a lambire le pendici del Colle di San Giorgio, favorevole terrazzamento naturale del monte Cervia. Un’addizione che significativamente non procede in modo disordinato e arbitrario, ma sembra seguire il disegno di una pianificazione razionale, organizzandosi lungo l’asse dell’attuale via Umberto I, tra l’antica porta d’accesso al paese, al fianco della parrocchiale di San Nicola da Bari, e la meta visiva della nuova chiesa di San Giorgio, costruita nella prima metà del ‘700 in cima al colle omonimo. Nel corso del ‘700 si registra quindi un lento ma continuo incremento di popolazione, passando da circa 480 persone residenti nel 1707, a 526 nella metà del secolo, a 547 nel 1769. Successivamente, in seguito all’occupazione napoleonica con l’istaurarsi della Repubblica Romana (1798-99) vennero riorganizzati i governi locali e più in generale nel nuovo assetto istituzionale il comune di Paganico, a cui furono aggregati come appodiati i centri di Ascrea e Collegiove, si trovò inserito nel governo di Canemorto (oggi Orvinio) e nella delegazione di Rieti.

LA CRISI ECONOMICA ED IL FENOMENO DELL’EMIGRAZIONE NELL’ “800
Nonostante il susseguirsi ravvicinato nella prima metà del secolo di carestie e gravi epidemie, il censimento del 1837 testimonia per Paganico un deciso balzo demografico, raggiungendo il numero di 741 unità. A questo incremento però, significativamente, non corrispose un pari sviluppo delle strutture urbanistiche che anzi, al contrario, sembrano quasi regredire, lo attesta tra l’altro l’abbandono della pur recente chiesa di San Giorgio. La persistenza di un generale stato di crisi economica trova conferma in un latente disagio sociale, un malcontento sovente espresso in atti più o meno gravi di aperta rivolta. Emblematico è l’esempio dei disordini scoppiati a Paganico e Ascrea nell’agosto 1848: prima la diffusione di false notizie riguardo l’abolizione della tassa sul macinato e subito dopo le smentite della Delegazione di Rieti esasperarono gli animi, e la popolazione tentò di evadere l’imposta occupando in armi le mole lungo il corso dell’Ovito. Questo è anche il periodo in cui si avvia una consistente emigrazione stagionale verso le terre dell’agro romano. Un fenomeno che interessò tutta l’area montana della Sabina, come il Cicolano e la Ciociaria, coinvolgendo complessivamente migliaia di persone. Nel 1871, tra i paesi del circondario, Paganico con 191 unità, costituiva il centro di massima emigra- zione, seguito da Ascrea (144), Collegiove (87), Castel di Tora (61), Collalto (41) e Pozzaglia (25).

L’ANNESSIONE AL REGNO D’ITALIA E LE PRIME OPERE PUBBLICHE
Nel 1861, il territorio del Comune di Paganico, insieme agli altri comuni della Sabina, era stato annesso al Regno D’Italia a seguito della occupazione dei Piemontesi.
Tra la fine del secolo e la Prima guerra mondiale, il comune di Paganico si era progressivamente dotato, anche se a volte con difficoltà, dei servizi e delle strutture richiesti dal nuovo stato.
Nel 1873 era stato approvato il progetto della strada comunale obbligatoria, opera poi completata però solo nel 1893, nel 1880 invece furono emanati diversi regolamenti comunali, da quello edilizio a quello sui diritti di pascolo.
Non venne invece mai realizzato il nuovo edificio scolastico progettato nel 1888. Nel 1903 infine, una delibera del Consiglio Comunale del 12 marzo prescriveva «di aggiungere… la parola “Sabino” al nome di Paganico, e rivolgere vive preghiere alla S. M. affinché S. M. emani un Decreto Reale che autorizzi l’aggiunta di tale parola, e che d’ora innanzi questo Comune prenda il nome di Paganico Sabino».

PAGANICO NEL NOVECENTO – LE GUERRE MONDIALI, LA COSTRUZIONE DELLA DIGA E LO SPOPOLAMENTO
All’inizio del novecento, nell’imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, Paganico si trovò al centro di un progetto che avrebbe cambiato per sempre talune abitudini della sua vita locale.
Con l’avvento dell’energia elettrica, la società Angelini di Carsoli, realizzò infatti una centrale idroelettrica a ridosso del fosso dell’Obito tra Paganico ed Ascrea con la quale si vennero ad illuminare i nostri paesi e ad alimentare alcune primi stabilimenti di Carsoli.
La prima guerra mondiale costituì per Paganico, insieme agli altri paesi della Valle, un momento di grande crisi; tutti, o quasi, gli uomini in grado di prestare il servizio militare vennero chiamati alle armi e nel paese rimasero soltanto donne, vecchi e bambini, che con forti sacrifici continuarono a mandare avanti le attività quotidiane ed il lavoro nei campi.
Il paese sacrificò 16 dei suoi figli, che sono commemorati nella lapide artistica di Aligi Sassu, posta a loro ricordo nel monumento dei caduti.
Intorno agli anni trenta del secolo scorso la popolazione di Paganico aveva toccato il suo massimo storico, raggiungendo circa un migliaio di residenti. Una parte cospicua di essi erano pastori transumanti che soggiornaano nel paese soltanto nel periodo estivo, mentre per il resto dell’anno si recavano nella Campagna Romana. Ma in generale le condizioni di vita rimanevano comunque assai difficili e molti degli abitanti erano costretti ad una emigrazione stagionale, prestando la loro opera nella zona della Campagna romana. Il trasferimento avveniva in particolare nel periodo compreso tra l’estate e l’autunno in occasione della falciatura e della raccolta delle olive oppure per essere impiegati come operai presso i frantoi. I lavoratori erano reclutati nel luogo d’origine da un caporale, (detto Kapòccio a Paganico) e quindi riuniti in una squadra per un viaggio di trasferimento nella campagna romana, seguendo le antiche direttrici della transumanza.
E’ con la costruzione della Diga sul Turano (1935 – 1939), che si ha un cambiamento epocale nella Valle del Turano e di riflesso anche nel territorio di Paganico. L’invaso del Lago Turano cambiò in modo permanente sia il paesaggio che il clima e l’economia locale.
I terreni più produttivi del fondovalle andarono sommersi, contribuendo così ad impoverire ancora di più la già precaria economia del mondo rurale e dando la spinta definitiva per il fenomeno dell’emigrazione verso le aree della metropoli romana.
Quando i lavori per la costruzione dei due bacini erano ormai terminati e prima ancora che entrassero definitivamente in esercizio, l’Italia entrò a fianco della Germania nel secondo conflitto mondiale. La Grande Guerra portò via dal nostro paese tutti gli uomini validi che si dispersero nei vari fronti in cui l’esercito Italiano si trovò ad operare in quegli anni di tragedia: molti di essi tornarono a casa dopo quattro anni, alcuni solo dopo indicibili peripezie, altri meno fortunati, non tornarono più. Una lapide ricorda il loro sacrificio. Altri ancora fecero ritorno dall’India e dall’Inghilterra e dall’Africa ove erano stati portati come prigionieri ben oltre la fine della guerra. Anche la popolazione rimasta, combatté una guerra quotidiana per la sopravvivenza, non meno dura di quanti erano partiti per il fronte, anche per la presenza di truppe Tedesche nel paese i cui ufficiali avevano requisito la Villa Zaira per insediarvi il loro comando. La popolazione assistette anche al passaggio continuo di soldati e mezzi in ritirata e ai bombardamenti degli Alleati.
Nell’ottobre del 1954 il Sindaco di Paganico assieme ai sindaci dei Comuni di Colle di Tora, Castel di Tora e Ascrea fece istanza all’amministrazione Provinciale perché procedesse alla “depolverizzazione” della Turanense. Nel giro di pochi decenni la popolazione residente scese progressivamente dalle 665 unità, ancora registrate dal censimento del 1951, agli attuali 180 abitanti. Eppure, anche nella sua dispersione, la comunità sembra aver comunque mantenuto un forte e combattivo senso identitario, prova materiale che non tutto è andato perduto ed è ancora possibile avanzare un realistico progetto di sviluppo.

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Paganico Sabino è un comune italiano di 166 abitanti della provincia di Rieti nel Lazio

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